Tremonti ha voluto parlare di "Economia sociale di mercato"; la formula - che amo moltissimo - è nobile e bellissima in teoria, ma deve essere riempita di contenuti, e non deve essere un cappello sotto cui nascondere abbasssamento della dignità del lavoro, o sotto cui celare gli inevitabili conflitti sociali che questo frangente storico ci porterà a vedere.
Reddito minimo di cittadinanza, infrastrutture materiali e educativo-culturali, una politica economica che guardi al sistema-paese e al sistema - Europa che ancora fatica a decollare; regole dei mercati finanziari, welfare-community (è una possibilità in questo senso il federalismo? come possibiltà di rilegittimare una mano "pubblica" che si affianchi a quella privata - e la controlli - nell'affrontare le zone del disagio che una comunità locale deve curare?); queste alcune delle possibili voci di un vocabolario che deve tornare a farsi comune e condiviso.
Come spesso si è detto, anche se poco si è fatto in questo senso, più mercato non è alternativo a "più stato": si tratta di lavorare sulla qualità dell'intervento pubblico, rendendolo trasparente, condiviso, capace di portare risultati evidenti, che possano convincere i cittadini che la "mano visibile" dell'apparato pubblico è un elemento comunque essenziale nella costruzione di un paese moderno.
Pomigliano, dicevamo, è un caso per molti aspetti troppo eccezionale per poterlo fare parametro di moltissimi altri casi che la nostra economia ci presenta.
E' giusta quindi l'attenzione con cui si guarda in queste ore al caso Fiat, ma al tempo stesso governo, sindacati e forze politiche non devono cercare in esso simboli da utilizzare sia in senso positivo che negativo, in una dialettica già vista e poco positiva.
La sfida di guidare il paese e il continente europeo in una fase storica che è di fatto di impoverimento, richiede uno sforzo in più: locale e comunitario da un lato, globale dall'altro.
E' notizia di pochi giorni fa che anche in Cina il costo del lavoro in alcuni distretti industriali si sta alzando, e le imprese vogliono delocalizzare ulteriormente, dopo aver approfittato del basso costo di quel paese.
Non sarà possibile delocalizzare all'infinito, e l'economia sempre più integrata ci chiede di pensare che anche i diritti dei lavoratori sono universali.
Su questo la voce dell'Europa - e in particolare delle forze progressiste, e di quelle cristiano-liberali - può e deve essere più forte. Per tutto il mondo.
Francesco Maria Mariotti